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gennaio 02, 2012

LE IDI DI MARZO (The Idis of March), George Clooney

Quel che più colpisce, ne Le Idi di Marzo, è la bravura a 360° degli attori. Bella forza, si dirà: ad averci Paul Giamatti, Philip Seymour Hoffman e Marisa Tomei, il gioco è anche bell'e fatto, e poi puoi pure rischiare anche il semi-esordiente Ryan Gosling, che esce dal Mickey Mouse Club come Britney Spears e Justin Timberlake e poi, specie dal grottesco nordico Lars e una ragazza tutta sua (2007), prende - diciamo così - tutt'altra strada, rimanendo comunque fino ad oggi un po' fuori dal mainstream, col mediamente pretenzioso Drive a fargli da trampolino verso una notorietà più consistente sotto tutti i punti di vista. E si rivela bravissimo pure lui, e il cerchio quindi si chiude con - si pensi un po'! - l'attore nel caso anche regista George Clooney che rinuncia a fare il piacione per calarsi con dignità e misura somme, quasi ieratiche, nella parte di uno dei concorrenti al posto di candidato Democratico nella corsa alla Casa Bianca. 
Secondo sceneggiatura, che adatta una pièce teatrale di Beau Willimon (e la cosa si sente alquanto, come già accadeva per The Conspirator di Robert Redford, altro democratico DOC a strizzar l'occhio al palcoscenico pur dietro una macchina da presa), seguiamo l'itinerante carrozzone al seguito del candidato Mike Morris in Ohio, molto probabilmente ancora una volta decisiva ai fini delle primarie presidenziali. Particolarità del film è il muoversi fra i riferimenti storici concreti e reali, di tipo "globale" (medioriente, petrolio, leadership economica, etc), e l'abile svicolamento da ogni possibile riferimento più locale o cronachistico (nessun riferimento a personaggi della politica americana del presente), tanto che non è possibile situare storicamente il film: non si tratta delle prossime primarie, né di un romanzato adattamento delle precedenti.
In altre parole, siamo reali ma non troppo: un film (un Play, viste le sue origini) e non un documentario.
Questo è ottimo perché innanzitutto il film è un thriller politico - un thriller politico di quelli buoni, di quelli che ti tengono incollato alla poltrona - ed oggettiva il senso comune di cos'è la politica oggi come ieri, il suo status mai mutato (o mai mutato troppo) di sotterfugio e maneggio, intrigo e complotto, allenze che si stringono e rompono, giochi di forza e corruzione e meschinità varie; però il tentativo di agganciarsi-ma-non-troppo alla realtà fa anche sì che il ritratto del candidato democratico divenga qualcosa di un po' troppo "voluto" e "posato": perché se è vero che Clooney rifugge dai consueti ammiccamenti, lo fa in nome di un Ideale Democratico alto ma un po' troppo astratto e fuori dagli agganci al reale coi suoi ceppi e lacci, e il suo candidato dalla voce profonda e dalle movenze nobili-troppo nobili si risolve in un capitolato Democratic dell'America di oggi e dell'altro ieri, quello che appunto tizi come Paul Zara o Stephen Myers (P.S. Hoffman e R. Gosling, i consulenti strategici del presidente - e qui, a volerlo fare e andare quindi contro lo spirito del film, ogni confronto con noialtri diverrebbe quantomeno impietoso...) definirebbero un Think Tank democratico.
Un Think Tank che intraprende voli un po' troppo pindarici, appunto, se è vero che il candidato Mike Morris arriva a dichiarare ad esempio di non appartenere a nessuna confessione religiosa ma di voler fare in modo che tutte possano operare nel paese, con pari diritti (cosmico, fratello); di voler porre fine subito all'invasione dell'Iraq e all'eterno conflitto coi territori del medioriente, perché "non abbiamo bisogno del loro petrolio" e dell'inquinamento che da questo deriva, basta promuovere fonti di energia verde rinnovabile (sì, buonanotte), e che proprio attraverso queste e i conseguenti stanziamenti per la ricerca gli Stati Uniti d'America dovrebbero recuperare anche quella supremazia tecnologica che hanno perduto per competere con potenze dalle ben altre prospettive (vincerai anche le primarie, caro Mike Morris: è il day-after che mi lascia un po' perplesso...); che la sanità pubblica è un bene per e della comunità e dovrebbe quindi essere patrocinata e promossa dallo stato, ah no già, quello lo hanno detto davvero e si è visto quanto simpatico consenso si sono accattivati e quanto facile sia stato attuare il tutto.
Se l'intento del film era (anche) quello di mostrarci come si spegne il fuoco di un ideale, o - se vogliamo - quanto alte possano essere quelle stesse fiamme peccato si sia in una cucina scassata di due metri quadri (con una giovane stagista ammaliabile a dare la misura dell'umano e del quotidiano - peraltro eterne estremità entro cui si dibatte la politica), si può aggiungere anche questa tra le riuscite del film, oltre a quella attoriale e di qualità dell'intreccio e della suspence (ottime anche colonna sonora e soprattutto fotografia, dallo stesso Phedon Papamichael che per così dire al negativo aveva lavorato con Oliver Stone in W.)
Non annoto niente di più della trama, per non svelare o sciupare alcunché; resta certo il fatto che George Clooney, al suo quarto film come regista mette a punto qualche tono narrativo in più, tra l'impegnato di qualche anno fa (Good Night and Good Luck), un po' troppo ingessato e freddo, la pura piacevolezza della commedia intelligente (In amore niente regole), e l'intrigo sottile, al limite del grottesco di Confessioni di una mente pericolosa (2002), forse la sua riuscita migliore al di qua dallà cinepresa.

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