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giugno 27, 2011

THE CONSPIRATOR, Robert Redford

Che bel film che ha fatto Robert Redford, un film maestoso e solenne senza volerlo essere o apparire, lucente e nobile nella sua semplicità, quasi un La parola ai giurati (di cui condivide lo spirito e la “grana” teatrale del copione) quarant'anni dopo!
Un film che resti a guardare affascinato, con la sua fotografia retrò e i dialoghi belli, un film che riesce a tenerti comunque in tensione fino all'ultimo nonostante il fatto sia storico e - per questo - la fine già nota.
Su tutto, il ritmo splendidamente teatrale dell'insieme (prima prova da sceneggiatore per J. Solomon), una regia senza manie di protagonismo o virtuosismi (nell'insieme la mano e il respiro possono senz'altro ricordare quella di Clint Eastwood), la bravura degli attori – dal già professor Xavier giovane James McAvoy al procuratore (altro ex “X-men boy”) Danny Houston, fino ovviamente a Robin Wright e Kevin Kline – l'evocativa musica di un evergreen delle colonne sonore come Mark Isham e la fotografia di Newton Siegel, (anche lui direttamente dagli X-men – e tre!).
Alla fine dei giochi, il tanto polemicamente sbandierato messaggio "Liberal" – e quindi la politicizzazione e strumentalizzazione a priori del film– è più un battage pubblicitario suo malgrado che qualcosa di effettivamente pesante dentro l'impianto del film: più che una lezione di stile, cinematograficamente parlando, di etica giuridica; più che un appassionato eloquio sul diritto e sull'egualitarismo, non credo sia dato scorgere, in un orizzonte in cui i maneggi del potere – la "ragion di stato" sbandierata dall'ottimo Kevin Kline e dalla giuria militare istruita raddrizzata a un passo dallo scioglimento della vicenda e nuovamente soggiogata in definitiva – e le sue quotidiane ingiustizie e prevaricazioni sono nulla più che fatti registrati oggettivamente. La condanna, se in questi termini si può parlare, più che da un motivo puramente politico, nasce da uno morale (è – per dire – lo stesso equivoco in cui si dibatte, e si vuol dibattere, la politica odierna: "criticate solo perché siete della parte avversa" – il che è anche perfetto, tra l'altro, per spostare l'attenzione dalla sostanza al veicolo, dal fine al mezzo; e nel frattempo si intorbidano un altro po' le acque, si prende tempo e il resto si vedrà), e basterebbe a dimostrarlo la chiusa del film, con le amare parole che scorrono in sovrimpressione. In sostanza: sancito dipoi il diritto per ogni civile al ricorso al tribunale non Militare a prescindere dai tempi di pace o di guerra, il figlio della Surrat sarà giudicato da un Tribunale Civile che, non trovando accordo sulla sentenza definitiva, rimetterà in libertà il suddetto.
Il film si chiude così, con una nota tutt'altro che trionfale o di scioglimento perfetto della vicenda nei termini di un castigo ai cattivi (siano essi i Potenti, o i Cospiratori, o tutti e due) e un premio ai buoni.
E qual è il messaggio che ci resta, a questo punto? Una condanna pura e semplice, in nome della ragione illuminata, dei principi liberali, dell'uguaglianza e dell'egualitarismo di fronte alla legge, del principio inter armas silent leges (direttamente traslato da Cicerone alla sceneggiatura del film)?
“Non dovrebbe”, risponde l'avvocato Aiken: poi, si potrà anche sostenere che Robert Redfort sia un sobillatore e un denigratore dell'ordine costituito e un comunista e un anti-patriota, quel che volete: ma ciascuno, poi, dovrebbe esser padrone delle cazzate che dice e scrive. Il che, purtroppo, non è più da troppo tempo.
Parole in libertà, scollate dal loro significato - che volete farci, una gran moda: ma questo, comunque, nulla dovrebbe togliere alla bellezza del film.