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dicembre 15, 2011

TOM WAITS, Bad as me

Una premessa: la voce di Tom Waits mi ha sempre fatto pensare ad un corda, una fune massiccia con tanto di nodo scorsojo & cappio per le impiccagioni: la corda può tendersi, assottigliarsi scricchiolando; si rilascia e sembra più massiccia; è morbida, sinuosa e al tempo stesso solida e ruvida, dalla grana grossa, una minaccia sgradevole e al tempo stesso calda, inquietante e confortante. Schiocca e crepita e sa di whisky, come se ce l'avessero intinta, e le sue curve sono le spire di un grosso serpente che nasce dal fecondo intreccio di serpenti più piccoli, attorcigliati stretti gli uni agli altri a loro volta, all'infinito.
Probabilmente, da un punto di vista musicale, nessuno è stato più efficace omologo di Charles Bukowski se non Tom Alan Waits, classe 1949, da Pomona (contea di Los Angeles), California. Molte delle sue canzoni - esempio principe la fantastica "Christmas card from a Hooker in Minneapolis" - potevano suonare come una trasposizione in musica di alcune poesie del vecchio Buk, e di queste mantenevano lo spirito e la stessa disperazione di chi rimane dalla parte sbagliata dello specchio, nell'incubo americano. 
Ovviamente poi ognuno trova la sua strada, e progressivamente, dagli album post-Rain Dogs in avanti, quella di Tom Waits è andata sempre più verso un'elettronificazione apparentemente disordinata e rumoristica, bizzarra, "distortamente" cavernosa - per i fan più granitici, niente più che il passaggio da Asylum a Island record avvenuto nel corso degli anni '80.
Progressivamente abbiamo assistito all'abbandono sempre più deciso del pianoforte e di molti degli strumenti tradizionali, con il sound della chitarra di Marc Ribot sempre più in primo piano e determinati aspetti (la rarefazione intimista di alcune ballad, il surrealismo di certe storie folk cantate come fossero poesie, la fumosità quasi jazzistica del pianoforte & voce, etc) che andavano via via scomparendo, fino all'eccesso di quel dimenticabilissimo Real Gone - già del titolo, funesto presagio di quel che pareva proprio essere - che sette anni fa era stato l'ultimo suo lavoro di inediti. 
Bad as me, il diciassettesimo album in studio (tredici titoli più un bonus cd con tre tracce nell'edizione deluxe), è un guardare indietro per tornare avanti, un emendare gli eccessi che si erano accumulati senza rinnegarli: e se niente si aggiunge (piuttosto impossibile aggiungere qualcosa dopo Rain Dogs e Swordfishtrombones!) quantomeno non si sbaglia il colpo. Di più: si riaffacciano ballads liriche à la Waits ("Last Leaf", efficace pezzo acustico in duetto con Keith Richards, vero e proprio alter ego dell'autore già dai tempi di Bone Machine; "New Year's Eve", che non sfigurerebbe nemmeno negli album di cui sopra, con una bellissima e malinconica melodia che culmina nella citazione di "Auld lang syne", canzone di fine anno per eccellenza; "Talking at the same time", "Back in the crowd", solo per citarne alcune), pezzi dall'impatto forte, tirati e dal groove violento e squadrato come un tempo ("Chicago", anche questa con Keith Richards alla chitarra, o "Get Lost", ad esempio, pezzi che nell'impianto ricordano assai cose come "Big Black Mariah" o "Down, Down, Down"), quelli più mefistofelici ("Hell Broke Luce", che al basso vede anche Flea direttamente dai RHCP o la title-track "Bad as me", per tacer della divertita "Satisfied", in cui ancora una volta con Keith Richards, Waits duella idealmente con Mick Jagger e il pezzo più famoso dei Rolling Stones), in cui l'autore gioca con la sua scenografica voce, i rumori e l'elettronica. 
Soprattutto però, la chicca arriva - ok: è fin troppo chiaro quale sia l'aspetto di Tom Waits che io prediligo! - col ricomparir del pianoforte e del contrabbasso, nella pur lampante citazione-imitazione di "Blue Valentines": ed ecco la dimessa e frusciante "Kiss me", forse il pezzo migliore dell'album, a rinverdire le atmosfere (troppo) presto abbandonate di Nighthawks at the Diner, con la chitarra che si muove estenuante, e la voce a sussurare:

...kiss me... kiss me, like a stranger, once again

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