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maggio 16, 2011

D. DU MAURIER, Gli uccelli e altri racconti (The Apple Tree)

Dovendo dipoi (speriamo nel tempo affinché giunga in uno spazio mentale che si possa considerar ragionevolissimo e breve) recarmi in Cornovaglia per motivi di fondamentale importanza quali il mio personal diporto, diletto ed interesse nonché per spirito di vision del mondo (quindi, tutti motivi assai più importanti rispetto a ciò con cui di solito facciam nostro malgrado i conti - almeno io), ho deciso d'intraprendere il riempimento di una delle tantissime mie lacune colpevoli – più o meno tali – attraverso la conoscenza di una delle cosiddette voci del posto, bella quanto non molto conosciuta, sebbene da molti registi (Alfred Hitchcock su tutti) sia stata sfruttata come una miniera.
Si rimane sinceramente molto colpiti più che tutto dalla modernità di scrittura e di analisi psicologica dei personaggi; la Du Maurier rifugge in modo pressoché perfetto quanto di solito si ascrive al femminino in letteratura (ovviamente, parlo al ribasso: assolutamente non mia intenzione colpire scrittrici di gran calibro; solo che dico che nel mediocre gli uomini fan schifo in molti modi, magari anche più bassi e vili; le donne si assomigliano) ed è una pura mano che scrive, impermeabile al banale, al tumido e al melodrammatico, allo scipito e al lagrimevole: semplicemente inquietante nella sua complessità il ritratto per assenza di Midge (Il melo, forse il miglior racconto della raccolta – e non è un caso che il titolo orginale della stessa fosse The Apple Tree; ma si sa, bisogna pur vendere, e se da uno dei racconti Hitchcock ha tratto uno dei suoi film più famosi perché non sfruttarlo? Tutto in fondo è merce, oggi); davvero sorprendente il trovarsi di fronte a racconti di larga campitura, quasi dei romanzi brevi, in cui si può trovar sottigliezze di analisi del personaggio da grande scrittore ottocentesco – a me continua a venire in mente Maupassant, e da lì Huysmann, fino ad Edgar Allan Poe – e facilità e immediatezza di scrittura da scrittore a noi contemporaneo, fatto ancor più da rimarcare se si considera che questi racconti sono del 1952!
Tra gli altri, già notato di Midge (per tacer del marito), il personaggio dell'operaio di Baciami ancora, sconosciuto, col suo punto di vista distaccato e dimesso, potrebbe tranquillamente uscir fuori da una raccolta di racconti di Carver, laddove il tono da feuilleton fin de siècle della marchesa de Il piccolo fotografo s'innerva di venature noir quantomeno soprendenti (e appunto hitchcockiane, forse – paradossalmente - assai più che nel celeberrimo Gli Uccelli, che nulla più che un ottimo spunto tematico è stato per il regista).
Le figure della Du Maurier, mentre forse interessa meno alla scrittrice la descrizione del circostante - curioso come pur riuscendo lei a scrivere soltanto in Cornovaglia, così poco faccia entrare poi questa terra a caratterizzare le sue pagine, pagine in cui più che altro si descrive una generica, per quanto molto bella e seducente, campagna inglese - si stagliano su uno sfondo che è molto spesso la provincia, intesa sia come rifugio dalla Grande Città, che come condizione ideale per un raccogliersi narrativamente sul personaggio e su questo scavare, pur non tralasciando un gusto per la trama (in quarta di copertina parlano di gotico, ma è un po' un calcar la mano, esattamente come si fa quando stesso concetto di vuole applicare a certi racconti di Maupassant) e per la sospensione dell'intreccio – una certa suspence, un certo thrill, che uniti alla sottile analisi psicologica fan sì che su tutto scenda come un sottile senso di straniamento, cosa che magari ci rende il tutto ancor più moderno – che chiudono il cerchio, e fanno di Daphne Du Maurier sì un caso – perché non è conosciuta quanto merita?, e via discorrendo – ma soprattutto una grande scrittrice.

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