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aprile 04, 2011

The Spleen Orchestra

Premetto che non sono un esperto – perché, potrebbero obiettare gli utenti (quei due o tre massimo quattro e non fa testo il sodal altro latore della presente Somma Opera Critica - anzi sì, vai: esageriamo!) i quali, insanità loro, leggon le presenti pagine virtuali: di cinema, di letteratura, di teatro, di sciroppo di fragole saresti un esperto? Ma certo che no, diavolo! Diciamo che – dovessi – amerei definirmi con le samraimiani parole riservate al protagonista de L'Armata delle Tenebre, di esperto “del cazzo e della merda” – eppurtuttavia due parole sulla performance della nottata di jer sera in quel di Prato, Siddharta Alternative Club, ad opera dei succitati, meriterebbe spendere.
The Spleen Orchestra è (autodefinizione) “un circo freak all’insegna dell’immaginario Timburtonesco. Atmosfere gotico-fiabesche e brani tratti dai più celebri film di Tim Burton eseguiti dal vivo”. Otto elementi (batteria, pianoforte e tastiere, fisarmonica, chitarra, basso, voce maschile più voce femminile e costumista) che danno vita ad uno spettacolo memorabile e di livello veramente notevole, sia dal punto di vista musicale e vocale che da quello scenografico, il tutto omaggiando Tim Burton e Danny Elfman, il musicista che da sempre ne condivide le strade in chiave musicale, un po' come Johnny Deep e la moglie Helena Boham Carter davanti la macchina da presa.
Nel caso, sarebbe anche troppo facile ricordare i primi Genesis, quelli per intenderci di Peter Gabriel che si travestiva e di Tony Banks che traduceva in sonorità strampalate eppur meravigliose i personaggi che il front-man creava e cantava sul palco.
Sia, tutto sommato, tanto; forse troppo? Eppur non credo di andarci assai lontano: la presenza scenica del vocalist maschile (Moreno “Sguangia” Teriaca) è assolutamente d'impatto, e le sue capacità vocali, di recitazione e impersonificazione – dico senza esagerare: metodo Stanislavskij puro – strabiliano; gli arrangiamenti musicali (ad opera della vera e propria mente del gruppo, il pianista-tastierista-direttore artistico Silvano Spleen) sono di un livello da professionisti veri e - cosa che nel giro conta assai - producono un insieme sonoro che mai disturba o arruffa i singoli strumenti entro il casino rimbombante di una batteria percossa tanto per riempire. Fateci caso: poi sarà colpa mia, ma tutti i gruppi che uno finisce ad ascoltare (parlo di roba semi-professionale, prima che gli stessi abbian colmato quel margine finale che li divide da fama & professionismo) più che musica, fanno rumore. La voce non si sente (e spesso è un bene – i corsi per chitarra, tastiera, basso etc. ci sono anche per autodidatti, anche all'edicola in comodi fascicoli; ma quelli per voce? Di solito si appioppa a una ragazzotta vagamente intonata o ad un qualch'emulo – in camera sua, magari allo specchio, se non proprio sotto la doccia – di Jim Morrison il microfono, e si dice loro: vai canta!); la batteria copre tutto il resto, rintrona e rullante-cassa-rullante-piatti-cassa-rullante-mammamia fa un grande e grossissimo casino, complici anche un fonico da barzelletta e un impianto di amplificazione non proprio da manuale, sia questo in testa al locale, (in cui spesso conta più che la gente non si senta e basta, rispetto al non sentirsi per ascoltar qualcosa, o magari anche solo per ballare – rumore-distorsione-rumori-distorsioni), sia in testa al gruppo che ha pagato i watt ma non li riesce ad usar granché. Se ci fate caso, prima o poi in un concerto di un gruppetto, ci sarà sempre qualche membro che fa disperatamente cenno al tizio al mixer che lui - poveretto - non si sente. Noi con lui, peraltro.
Ma vabbe': poi, il discorso cambia un po' se ci si sposta sull'acustico o sul jazz – ove potendo sentire, nel vero senso del termine, vengon fuori i difetti tecnici o (più che tutto) d'espressione – ma tutto questo sol per dire che così non è con la Spleen Orchestra, che produce un'intelaiatura sonora di prim'ordine: la batteria – pur essendo (eccome!) anche percossa e non solo “spazzolata” - non prevarica, il basso non “buba”, il pianoforte crea e frizza, la fisarmonica ricama, la chitarra si fa apprezzare anche quando arpeggia. E la voce, signori, la voce: si sente! Entrambe! (Forse la cantante, Alessandra Marina, potrebbe "tenere" un po' meglio nei vocalizzi, ma si è trattato veramente di momenti, sporcature o cali episodici, forse assolutamente casuali). Notevoli le facce e le impersonificazioni di entrambi, con costumi ed effetti da prima classe; più che tutto però quel che colpisce è l'istrionica capacità del front-man, che tiene ed assorbe la scena con anche una mimica facciale che è tutto un programma: il tutto fa davvero sì che si abbia l'impressione di esser davanti a qualcuno (molti?) in carne ed ossa, magari uscito da un film - attenzione: il confine tra il bello ed il ridicolo, qui, sarebbe assai sottile, quindi doppia lode!
E tutto quanto sopra non vien peraltro dopo l'impasto sonoro e gli arrangiamenti che fotocopiano impeccabili gli originali, trascinandoti di colpo accanto a Jack Skeletron, Willy Wonka, The Bride, e via così.
In definitiva: originalissimi. Interessante idea, realizzata assai bene, certo meritevole di più notabil palco (almeno rispetto a questo!)

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