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aprile 17, 2011

ELMORE LEONARD, Out of sight

A differenza di Lansdale, i libri di Leonard apparentemente non danno dipendenza. O magari ne danno, ma in misura meno immediata. Questo soprattutto perché, forse, leggere un libro di Leonard non è un'impresa così d'evasione come i temi e le trame lascerebbero invece supporre. Uno stile ellittico, che cerca continuamente il fuori fuoco virtuosistico, il flash-back e l'inserzione mossa, il taglio e il tratto da artista vero (a me con Leonard viene costantemente da pensare all'arte contemporanea, da Pollock a DaKooning, poi non so se questo sia plausibile o esteticamente corretto) si accompagna a un plot che è un intricato insieme di situazioni, riferimenti storici e (soprattutto) personaggi, sempre più còlti che descritti apertamente (in questo forse la tecnica da pittore dei nostri tempi, nel non ritrarre qualcosa d'altro, cogliendo essenze e ricreando); sempre presi in profondità e caratterizzati non con elaborati ed eleganti periodi da romanziere, perifrasi analitiche e sottili, bensì con tratti nervosi e del tutto imprevedibili - un dato adesso trasmesso "per obliquo" ed un altro cinquanta pagine dopo, detto per inciso, e qualcos'altro ancora poi da coglier tra le righe dei dialoghi, e via così. A rimettere insieme i pezzi un po' ci vuole, ed è un impegno: un'evasione col suo prezzo, mettiamola così. In più, c'è forse il discorso di una certa irregolarità: alcuni dei lavori di Leonard sono saghe, ma non del tutto consecutive e perfettamente susseguenti o conseguenti l'una all'altra - cosa che per il successo e l'immediatezza di una saga (le fiction - ahimè - insegnano!) pare invece fondamentale: invece in Leonard un personaggio si ritrova anni dopo, senza ricordi del precedente episodio, con significativi cambi di orizzonti, magari solo in un racconto; il tutto quasi che lo stesso protagonista abbia avuto per il suo autore due o tre diversi destini più o meno legati, destini che proprio in grazia del suo essere immaginario e immaginato ha potuto vivere (con Jack Foley, ad esempio, protagonista di questo Out of sight, succede qualcosa di simile con Road Dogs; lo sceriffo Carl Webster ha invece una saga più ordinata e un romanzo forse più nobile come Hot Kid, etc.)
Comunque sia: passa un po' di tempo, leggi qualcos'altro, ti distrai, cambi rotte, e quindi ti ritrovi immancabilmente lì, con un altro libro di Leonard in mano, un altro pezzo di qualche anno addietro, un altro frammento che Einaudi StileLibero sta tirando fuori con veste aggressiva e rinnovata (idem per quel che riguarda i prezzi, ma su questo lasciam correre, ché così a poco serve: oggi - massì, seguiamo il marketing e i suoi diktat! - tutto è un capolavoro, quindi costa. Pagate!), per render giustizia ad una produzione sterminata e fino ad oggi disciolta fra le più introvabili ed irregolari edizioni economiche, fra racconti e romanzi, sempre ascrivibili entro la tanto vituperata sottocategoria del genere (crime novel, noir, western shortcut, e via così, se vi piaccion le etichette), eppur sempre qualcosa di più, vuoi per la tecnica di scrittura, unica e un po' spiazzante, vuoi per riferimenti storici ben precisi e parimenti impegnativi per chi legge.
Certo, ci sono punte più o meno alte; manca secondo me il capolavoro, la punta di diamante, e l'opera di Leonard è più un continuum in cui conta più che tutto lo stile (per quel che mi riguarda il miglior libro è forse Mr Paradise - ancor più sorprendente se si pensa che è stato scritto da un ottantenne - seguito da A caro prezzo e Killshot, mentre se l'autore fosse riuscito a disperdere un po' meno, anche Cat Chaser sarebbe tra i più notevoli - il primo capitolo è assolutamente fantastico, poi la magia si perde...); ma veramente si tratta di una voce unica e a cui tantissimo deve molto del cinema odierno (Tarantino, per dire il primo a cui penso, sebbene lui ami forse più citare Charles Willeford e Edward Bunker), che non a caso spesso attinge al di là della semplice ispirazione e indirizzo stilistico per tradurre (bene o male) sullo schermo molti dei romanzi: Get Shorty, Jackie Brown, Be Cool, Killshot, e ne tralascio sicuramente molti.
Nel caso in questione, il turno è di Steven Soderbergh, il quale cerca visivamente, lavorando di forbici e di inquadrature un po' sui generis, di tradurre lo stile ellittico di Leonard, riuscendoci specialmente nel tete â tete tra Karen Sisco (Jennifer Lopez, invero non molto credibile come Federal Marshal) e Jack Foley, sì che uno arriva a scordarsi anche quel troppo di patinato che ogni tanto affiora (incontro tra le due star più sexy di Hollywood e altre baggianate del genere). Certo, scontiamo poi il buonismo imperativo e l'happy ending di cui il pubblico si deve - ma perché poi? - giocoforza nutrire, col finale alterato e riscritto, ma questa non è colpa di Leonard (men che mai, visto che non firma nemmeno la sceneggiatura), né - probabilmente - di Soderbergh, che comunque firma qualcosa di meglio della saga biecamente da cassetta di Ocean (Eleven Twelve e Thirteen) e qualcosa di peggio della saga del Che (L'Argentino e Guerriglia) e si diverte a rendere coi cammei cinematografici (Micheal Keaton, gioco doppio ché ricalcato sul Jackie Brown della notevole coppia Leonard+Tarantino, Samuel L. Jackson) la rigogliosa foresta di personaggi che colora i romanzi dell'autore.
Buoni sentimenti e cattivi al loro posto, o quel che volete, nel film; ma nel libro - as usual - c'è più libertà, più intensità, la meraviglia dell'originalità di situazioni che di fatto son sempre le stesse (come ambito sociale, alchimia dei comportamenti, etc.) eppur son sempre nuove, e come ogni volta o quasi Elmore Leonard, mentre si fa ammirare per lo stile, diverte.
Non male, direi.

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