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marzo 04, 2011

T. WOLFF, Un vero bugiardo (This boy's life. A memoir)

Mossi da un volumetto edito da Einaudi Stile Libero un bel po' di tempo fa, a titolo Proprio quella notte, tascabile sbarazzino che ricalca, aggiornandoli cronologiamente di venti anni (quindi: rendendoli ancor più familiari ai lettori contemporanei, se mai ce ne possa esser bisogno data l'immediatezza e la quasi a-temporalità del genere), i modi e le tradizioni di Carver e delle Short Stories, può capitare - ok, non tanto facilmente, dato che sta uscendo di stampa - di imbattersi in questo Vero Bugiardo, e immaginare che non sia tanto consueto vedere un presunto o possibile minimalista, epigono di cotanto padre, alle prese con il romanzo di formazione, tanto più in forma di autobiografia, cruda o romanzata che sia. Quindi, si procede alla lettura, spinti da quella parte di Caso che sempre ci guida, non ultimo nella scelta delle letture, ci piaccia o no.
E difatti: programmaticamente privilegiando la riflessione e la contemplazione, più che la narrazione (di fatto si accalcano, sommariamente elencati – un po’ alla Irving? – più eventi e avvenimenti nell’ultima sezione, Così Sia, che in tutto il resto del libro), la scrittura di Tobias Wolff viene ad essere un mare piuttosto calmo e limpido, con qualche sporadica forma di vita che si agita sotto. Un mare in cui a volte, mettendo la testa sotto, si dà il caso di potersi imbattere in piccoli episodi non annunciati, che compaiono forse un po’ troppo dal nulla, senza ergersi o caratterizzarsi troppo; stanno lì, passano, come meduse, portate - ma è un difetto non troppo pronunciato o disturbante, considerando tutto. Ed è in definitiva la vita, si potrebbe aggiungere. Eccoci magari ai soliti discorsi, con quelle piccole cose, quella quotidianità, quella tradizione minimal e quella poesia della cucina & del tinello che fa stronfiare chi nutre grandi aspirazioni e respira in grande stile, ma che può essere assai più difficile (ed epica) dell'epica stessa. Non si dà invece gran traccia dell’ironia di cui si parla in quarta di copertina. Del filone “alla Carver”, Wolff ha indubbiamente alcune cose - e ovviamente Proprio quella notte è la prova più evidente, anche se ci sarebbe forse da chiedersi quanto il genere del racconto si presti di per sé quasi in automatico dopo Carver: quanto la forma influenzi il genere, una sorta di sineddoche stilistica, se non nutro (ed è anche probabile) errati ricordi di retorica - ma ha minore capacità di “scolpire” i personaggi. Con Carver, qualsiasi nullità od inezia balza forte davanti agli occhi, e anche quel che è di cartapesta pare marmo. Qui, alla fine, chi vi è rimasto dentro? Tutti e nessuno, nemmeno il protagonista, forse. Dwight? No. Gli amici? Niente di troppo memorabile. La madre, poi, sarebbe quello che le oggi tanto in voga Agenzie Letterarie - bontà loro - vi criticherebbero come un “personaggio non risolto”: un carattere e una impostazione all’inizio, un carattere e una impostazione alla fine, passando per troppe insicurezze e tentennamenti (intendiamoci: avrebbero pure alcune ragioni, nel caso - c'è un po' troppo vento, intorno a quel personaggio!). Ma ci sono le riflessioni, un po’ lucide, un po’ liriche, un po’ statiche e ossessive, di Jack-Toby. E l’ultima (giusta: le ultime due pagine di libro) è la perla finale, che innalza tutto, e rende un libro qualcosa di più di quel che era stato fino ad ora.
La domanda resta, ed è la stessa che qualcun altro (sul serio, non ricordo chi) si pose tempo addietro per Paul Auster e il suo Mr. Vertigo - ragion per cui, non son neanche di questa grande originalità (ne dubitavate?): dove va a parare un romanzo di formazione, quando chi lo conduce dà, in una vita, pieni ed esclusivi poteri al Caso ed alle piccole cose?
Non avendo Carver scritto qualcosa entro i confini del genere, rimaniamo col dubbio.
(Oh be', non solo quello, in fin dei conti: ma è la vita, fatta di piccole cose, di casi e grandi disegni. E di moltebdelusioni e qualche felicità. E appunto, tanti dubbi. E a tutti capita di dover mentire, prima o poi. Quindi, valore per l'unicità di una vita, o per la sua condivisione e comunanza?)

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