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febbraio 28, 2011

D. WINSLOW, Il potere del cane (The power of the dog)

Di rado ci si imbatte in libri di simile potenza espressiva e complessità storica. Don Winslow, ex-assicuratore, ex-soldato, ex-qualsiasi cosa, come da perfetta tradizione americano-pragmatica (cosa che, ad esempio, mette abbondantemente al riparo tale società da ogni forma di snobismo, quantomeno nel termine a noi noto e in nome del quale la Cultura è da farsi tassativamente entro e per una cerchia di eletti che passano il loro tempo - mi si passi la citazione dal Mr. Wolf di Tarantiniana (Quentin, no Gianpaolo) memoria - a "farsi i pompini a vicenda") squaderna una narrazione cruda, un ritmo serrato e un plot veramente monumentale: insomma un capolavoro assoluto, probabilmente il più potente - stando a quel che posso aver letto io, il miglior - affresco dell'epoca post-moderna ('74-99) che gli USA potessero aspettarsi. Meglio di Lehane, di Ellroy, del quale rigetta manierismi stilistici e visione oltranzistica in nero & sconforto pur non rinunciando a creare una propria originalità a livello di linguaggio e mantenendo una complessità della vicenda quantomeno affascinante e non labirintica - e si badi che il confine può esser sottilissimo ed è arte complessa, il rimanervi agganciati; meglio anche di DeLillo, meglio di tutto ciò che vi possa venir da pensare, Il potere del cane è un'opera complessa e grondante un mix di sangue, malvagità, efferatezze, abiezione e avidità che sono, purtroppo, storia. La nostra, nostro malgrado.
Il libro scuote e colpisce, provoca un dolore quasi fisico; eppure non smetteresti mai di leggerlo, riconoscendoci con una difficoltà appagante un quadro storico effettivo e desolato, intrighi politici - ahimè! - del tutto verosimili e veritieri; personaggi ed organizzazioni reali che fanno da sfondo a una vicenda che d'inventato forse ha solo i nomi, mai troppo orribile per essere vera.
Anche i personaggi - Art Keller, Adan e Raul Barrera, Sean Callan, Parada, tutti - sono caratterizzati e analizzati nelle loro profondissime complessità di esseri umani, e il lasciarli, o vedere l'umana tragedia che si abbatte su ciascuno di essi in modo ogni volta diverso dà quella stessa forte sensazione che - personalmente - mi davano le vicende riferite alle figure descritte da uno Stendhal o un Dostoevskij.
La dico troppo grossa? Ad ogni tempo la sua opera, che volete farci. E i nostri tempi questi, esattamente, sono.
Semplicemente, Don Winslow si rivela un sorprendente fenomeno sotto tutti i punti di vista, confermando il già pur ottimo livello de L'inverno di Frankie Machine (dal quale dovrebbe esser stato tratto un film con Robert DeNiro nella parte di Frank 'The Machine' Machianno, in uscita da noi chissà quando - siam sempre le ultime ruote del carro), testo nel quale le avventure di un padrino in disarmo fanno pensare a un C'era una volta in America in versione Californiana e crepuscolare, e rendono ancora lustro - nel contempo rinnovandola (altra operazione non dappoco) - alla gloriosa tradizione gangster-movie.
E, a conti fatti, passi pure se La pattuglia dell'Alba (ancor non so degli altri usciti adesso - il rischio è sempre quello di munger troppo la vacca che dà il latte, come già è successo per Lansdale, tanto per dirne uno) non è granché: trovarsi in mano un mattone dorato compenserà pure un sasso comune...

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