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settembre 21, 2004

JOE R. LANSDALE, La notte del drive-in (Drive-in), e soprattutto… In fondo alla palude (The bottoms)

Allora, chiariamo subito una cosa: mi dispiace che Lansdale piaccia a Ammaniti, il cui volumetto a fumetti – associazione a “mettersi in ridicolo” in tre, peraltro: con Daniele Brolli e Davide Fabbri – ultimo uscito (speriamo non solo in ordine di tempo, ma ahimé, so già che sarà una speranza vana) mette solo rabbia per la pochezza e la ridicolezza e ingenuità, (come per molte altre sue cose, ipervalutate inutilmente) Insomma, fa veramente cacare, come poche altre cose. Non dico nemmeno il titolo, ché c’ho paura di fargli pubblicità. Comunque, non siamo qui per dire ‘ste cose. Del resto, ad Ammaniti piace pure John Fante, non si può mica impedirgli ALMENO di leggere bene. Dicevamo, Joe R. Lansdale: Joe R. Lansdale è, a mio giudizio, il Quentin Tarantino della scrittura. Si è nutrito di tutto, della (cosiddetta, ma il discorso sarebbe lungo e fine a se stesso) “serie A” e della “serie B”, ignorando (parole sue) “che potesse esistere una qualche graduatoria di valore tra una forma letteraria e un’altra. Credo che questa sia stata una delle cose più significative della mia carriera: l’ignoranza”.
Prende dal basso, dal popolare, dal filmone di serie Z, da quei libretti che in Italia si chiamerebbero Urania, dai fumettacci da quattro soldi e non, dalla suspence più vieta e scontata, dall’horror grossolano. Così come dal libro con la L maiuscola, il classico, il romanzo di formazione, i quadretti raffinato di caratteri, e via così. Rimesta tutto insieme, e poi ci mette l’ingrediente magico. Che sarebbe la sua Arte, quella vera. Quella che uno ha o non ha, e che lo fa automaticamente (o quasi) Artista anche se parla di ricette di cucina e/o di carburatori e valvola a farfalla. Certo, non sempre funziona, ma questo è un altro discorso. Nessuno è perfetto, no? Lo stesso fa Tarantino, comunque, nel cinema. Kill Bill è l’esempio lampante di cose prese e raccattate qua e là e sublimate (alé! E vai di parolone! Mi sono guadagnato il rispetto & la stima di tutti voi, mi par giusto) e trascese (e due – mi paio veramente ganzo!) nella sua Arte. Perché c’è un motivo per cui non restano nella serie B, entrambi. E spesso ci sfugge, ma è quello: la stessa relazione che ad esempio lega e distingue Romeo & Juliet di Shakespeare dall’originale della vicenda, raccolta da Luigi da Porto un secolo prima; o quella fra Ariosto e i cantari popolari; fra Boccaccio e la cultura del suo tempo, e così via.
Ma insomma: La notte del drive-in realizza tutto questo. Resta un fumettone (come Kill Bill), per certi versi, un “horror di serie B”, è un omaggio a qualcosa che si è amato da ragazzi, ma al tempo stesso contamina il tutto con qualcosa di più sottile e letterario. E ci mette l’Arte, appunto. La fantasia (che grazie a quell’ingrediente magico RESTA fantasia, e non scade di troppo nel banale e nel grossolano) più lo stile.
Il volume raccoglie Il Drive in e il seguito di questo (Il Drive-in 2), e indubbiamente il primo presenta più freschezza e capacità di meravigliare, nel suo orrido, e nel suo tratteggiare personaggi eccezionali (ad esempio il predicatore Sam e la moglie. Se ne trovano pochi, di personaggi così ben riusciti, a giro per altre pagine), di quelli che per una ragione o per l’altra ti restano dentro anche a lettura ampiamente conclusa. Il secondo per certi aspetti è come se soffrisse di un complesso-del-colpo-di-scena-a-tutti-i-costi (oltre a una specie di ondeggiamento che è un po’ una caduta nel polpettone senza riscatto: si accenna a dei dinosauri, ad esempio, un Tirannosauro viene visto attraversare la strada, poi questi scompaiono e nessuno ne sente più parlare) anche se il banale e il grossolano, o l’incredibile (in senso negativo, come non-credibile), sono quasi sempre evitati, cambiando quasi completamente scena e ambientazione (pur concludendo il tutto dove tutto era cominciato). Insomma, Popalong Cassidy non ha la forza del Re del Popcorn. E Grace un po’ irrita, nel suo essere una specie di alter-ego femminile dell'autore, come irritano tutti gli esaltati per le arti marziali. Ma il primo vi lascia attaccati a leggere, finché non è finito: ed è qualcosa di più che un romanzone, che uno zuppone da adolescenti.
È il vertice creativo di Lansdale? No, perché In fondo alla palude è pure meglio. Sparisce pure quel poco di grossolano che ci poteva essere nel Drive-in, e la possibilità di contaminare fonti popolari con il romanzo di formazione danno origine a un giallo (e difatti per la prima volta in Italia fu pubblicato nella collana del Giallo Mondadori) che non è solo letteratura di genere – tradizionale appiglio per relegare questo o quest’altro scritto nella “serie B”, oltre a discreto luogo comune che ha una parte di vero e tre parti di cazzata – ma vera e propria opera per soddisfare anche i puristi della forma. Potremmo dire, per proseguire con il parallelismo, che il Drive-in sia Kill Bill (toh, tra l'altro entrambi in due parti, e con la prima migliore della seconda!), e In fondo alla palude, Pulp fiction: più immediato e di gran presa il primo, più meditato e articolato (con più pretese, sia letterarie che cinematografiche, insomma), il secondo.
Comunque, pare una formula perfetta: si mette uno sfondo (il Texas, nel caso dell’autore, e lo si rappresenta bene, nei minimi particolari, razzismo e provincialismo compresi, il tutto messo su carta da chi quell’aria ha da sempre respirato), si prende il popolare (l’horror ne il Drive-in, la vicenda degli omicidi in questo), lo si contamina con qualcosa di “alto” (il romanzo di formazione o la rappresentazione realistica della Società, o lo stile, insomma), si aggiunge quell’ingrediente magico di cui sopra (che non è facile), e tutto funziona – tra l’altro, se invece del popolare, si mette il caratteristico, ecco che avremo Cormac McCarthy invece di Joe R. Lansdale, ma questo è un altro discorso. E invece non funziona sempre: La sottile linea scura, ultimo romanzo di Lansdale è una delusione, e pare mancante proprio di quell’ultimo ingrediente. La lampadina non si è accesa, insomma. C’è tutto, il resto: c’è il Texas, c’è il popolare e c’è l’“alto”; ma sarà perché è tutto troppo simile (davvero, pare un auto-plagio!) a In fondo alla palude che l’Arte manca, e allora non appassiona la parte popolare (il delitto, quel che c’è dietro, quel che dovrebbe appassionare), come stile non dà nulla, e anzi si può notare come alcuni personaggi restino incerti, magari tratteggiati pure maluccio (ad esempio Buster, il vecchio protezionista, che parla per metà come un “povero negro schiavo” e per metà come Tom Wolfe), e anche lo sfondo risulta piuttosto noioso e irreale.
Ma l’uomo capra e diversi altri personaggi del fondo della Palude...
Tante cose, eh? e merda a tutti, ma soprattutto a me.

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