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settembre 30, 2004

AA.VV., Undici settembre, Contro-narrazioni americane

Alcuni fra intellettuali, scrittori, cantanti, e insomma personaggi di spicco del mondo US raccolgono un pensiero sui fatti dell’undici settembre.
Quanto alla presenza femminile: c’è la poetessa schifosamente lirica, la vetero-femminista gay-isterica, la pasionaria, la rocker trasognata e psichedelica, la scrittrice enfatica, ecc. Quanto a quella maschile: la cosiddetta punta di diamante dalla narrativa giovane americana, lo scrittore affermato, il poeta orfico, lo scrittore-reporter, ecc.
Non che si debba parlare della forma, per un libro così, ci mancherebbe altro. Una raccolta di scritti sull’undici settembre, per quanto si cerchi di farci un po’ di soldi su (un libretto di 150 pagine - con scritti spesso di getto, poche paginette messe insieme per l’occasione da ciascun “scrittore” - per 9 euro, mi pare un po’ poco etico…), non è qualcosa che debba avere pretese letterarie. Però, quanto ai contenuti, magari, quelli sì: se cioè qualcuno è stato penetrante nella sua analisi relativa al perché tutto questo è successo; se qualcuno ha rappresentato passi significativi della presa di coscienza collettiva di quel momento; se qualcuno ha colto i segni del dopo la catastrofe, di cosa potrebbe venire adesso, e via così. Il panorama, in questo è piuttosto desolante: qualche appello alla retorica contaminata col lirismo più o meno estremo (Toni Morrison – pare un temino della High School – Grace Paley – una pseudo-parabola abbastanza insignificante, piena di retorica – Arto Lindsay – ermetismo fortemente lirico, quasi senza senso, Giannina Braschi – “prosa d’arte”, un po’ confusa, che parte bene in un modo, e poi si perde dietro a deliri poetici o quasi); qualche onesto reportage (Joanna Scott e Charles Bernstein, seppure il secondo un po’ inutilmente sopra le righe e “ricercato”); una testimonianza dell’“altra parte” o quasi (Suheir Hammad – sentito, ok, ma un attimino più di analisi e capacità critica, insomma…), un paio di fastidiosi scritti dal dorato mondo dello spettacolo (Patti Smith – irritante, banale e pretenziosa: vada a lavorare, lei e il suo voler essere poeta e vate ad ogni prezzo – e Laurie Anderson – cazzo, c’era proprio bisogno di lei che scrive qualcosa sulla tragedia?); paginette messe così, senza niente chiedere (Paul Auster e Jonathan Franzen), e soprattutto alcuni contributi veramente sconcertanti, come quello di Judith Butler e Mary Caponegro. Sulla prima, mentre leggete, vi comincia a frullare questa domanda in testa, più o meno: “ma questa, cosa cazzo sta dicendo? Ma è scema?”. Sul serio, proverete a chiedervi cosa diavolo ci possano entrare le minoranze gay e lesbiche; perché anche dopo tutto questo, questa citrulla si metta a tirar fuori che loro sono i migliori, che sono discriminati, che non è giusto, ecc (dio santo, per fare pendant potevano metterci un pezzo di un ragazzo delle superiori, che diceva qualcosa del tipo: “cioè, io credo che sia molto male quello che è successo alle torri, e Bin Laden è un pezzo di merda e Bush è un pezzo di merda, cazzo. Io però legalizzerei la marijuana, cioè, mi pare impossibile che non sia legale, cazzo”). Sulla seconda, si resta abbastanza colpiti dal fatto che l’attentato, secondo lei, abbia tolto agli adolescenti di oggi la possibilità di vivere la vita del campus universitario (“non posso permettermi un vergognoso dolore secondario per una figlia che l’11 settembre ha subito una volontaria battuta d’arresto proprio all’esordio dei suoi studi superiori?” – no, che non puoi, testa-di-cazzo-suprema!; “il vostro settembre non vi riserva innocenti flirt con i compagni o il fatto di aver preso per sbaglio il maglione della compagna di stanza […] Non potrai più rientrare a casa col mal di testa per la sbornia né dormire fino a tardi dopo essere rimasta in piedi fino a notte fonda a parlare di vita, di amore e di sogni” – ma, cara signora, mi dispiace tanto… ci pensa mai che un maglione i bambini di Baghdad non l’avranno nemmeno mai visto? Non ho veramente parole!)
In definitiva, le poche cose degne di nota qui sono 4: il pezzo di DeLillo (anche se non penetrante e acuto come ci si aspetterebbe da lui – e comunque, a paragone degli altri pare DeTocqueville!), quello di Amitav Ghosh (onesto reportage, però serio, coinvolgente e come dovrebbe essere, insomma…); John Barth (che quantomeno indaga un aspetto, magari marginale ma comunque si fa delle domande vere), e soprattutto David Foster Wallace, che nel suo stile consueto, mosso, brillante ma intelligente, racconta la provincia americana (solito discorso: il racconto è breve, e Foster Wallace impressiona. Con chili di pagine in più, diventerebbe stucchevole).
Insomma, nel complesso, dice poco, e significa ancor meno. Più che altro irrita, facendo (involontariamente) vedere una cospicua dose d’imbecillità. Tutti i rappresentati (eccetto i famosi) insegnano all’università: sono messi benino, negli USA!
Ultima annotazione: si parla e si straparla, da noi e non solo, degli ultimi due ostaggi che sono tornati a casa. E per carità, siamo tutti felici per loro, che non c’entravano nulla eccetera eccetera. Tuttavia: a nessuno viene in mente che tutte queste storie – qualche ostaggio liberato (guarda caso sempre dai nostri eroici soldati) qualche altro purtroppo tragicamente ucciso, siano un discorso estremamente funzionale alla causa di Bush? Un modo per distogliere l’opinione pubblica, da sempre mooolto sensibile a quelli che potremmo definire fatti di cronaca nera, quelli eroici, caritatevoli & consimili, da quel che è stato effettivamente fatto in Iraq? Insomma, cosa credete che costi a Bush e a gente come lui l’avere sulla coscienza qualche testa in più, ormai? Quando vi mandano le immagini delle “due Simone” (cazzo, quanto è squallida questa espressione) e vi rimbombano con atti di eroismo, eroi, appelli alla pace, ecc, quanti di voi si ricordano per che cosa la guerra è stata combattuta, e per che cosa tutt’ora prosegue, come guerriglia? Non sarà tutto strumentalizzato e manovrato? Non crederete che i terroristi (quelli delle alte sfere, ché coloro che mettono in pratica e materialmente eseguono sono solo altra carne da macello, stavolta al contrario) siano in contatto stretto con qualcuno che invece afferma di combatterli? Il terrore, la paura (e notate quanti allarmi ad hoc e sempre senza seguito vengono lanciati negli Stati Uniti) non saranno piuttosto elementi che favoriscono il potere e creano consenso, distogliendo da una vera e propria volontà di analizzare, di capire? Ma poi, qualcuno pensa?

1 commento:

Anonimo ha detto...

devo dire che sei proprio un grande, mi sono posto le stesse tue domande (soprattutto su Judith Butler) e ho le tue stesse considerazioni riguardo questo libro...alcuni racconti devo dire che catturavano davvero la mente del lettore(parlo di David Foster Wallace e John Barth), altri invece non ne capivo sul serio il significato...