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settembre 16, 2004

D. SEDARIS, Me parlare bello un giorno (Me Talk Pretty One Day)

(EVVAI, LO RIVOLEVI? RIECCOVI BAMBAGINI NYCOLA, PROFESSORE DI STORIA DELLO SCROTO E FENOMENOLOGIA APPLICATA (A STO PAJO DI) ALL'UNIVERSITA' "SERG. GARCIA" DI CEFFONE SUL CIPIGLIO (YO). TITOLARE DELLA CATTEDRA E' PERO' - VI AVVISIAMO! - SOTTO IL NOME DI DOTTOR MERDA. LA QUALE (IDENTITA') NON NASCONDE ALTRE IDENTITA' SE NON QUELLA DI PAPEROGONFIO IN LEASING PRESSO LA DITTA "M. CIUINO" TRASPORTO PINOLI E ANCHE CADAVERI.)

C’è qualcosa di bello, ok, in questa raccolta di racconti di Sedaris; ma se su una trentina (ventisette, per la precisione) di racconti solo una decina possono essere compresi entro un giudizio fra “carini” e “irresistibili”, il giudizio non è che possa essere molto positivo.
A tratti, insomma – ma sporadici – è pure divertente (e comunque, MAI ai livelli sbandierati dalle note in seconda di copertina). Sedaris tocca temi quotidiani, con un tipo di scrittura “quotidiana”, proponendo soluzioni e vie d’uscita che si salvano a volte con l’ironia illogica e con l’assurdo. Per questo, ti strappano un sorriso. Nel complesso però dà proprio l’idea di non esser niente di particolare. Medio in tutto, insomma.
Le punte? Beh, c’è un momento (da pag. 37) in cui il libro sembra cambiare marcia, infilando tre racconti (Ingegneria Genetica, Dodici momenti nella vita di un artista e Il Gallo non lo ammazza nessuno) in un crescendo che arriva all’irresistibile; ma poi subito si affloscia, mettendo qualche boutade qua e là, tra lo scontato e l’assurdo, strappandoti un sorriso o poco altro (poco altro tra cui La curva dell’apprendimento, forse, coi dodici momenti di cui sopra, il miglior lavoro della raccolta, e Il colosso, semplice e divertente storiella che ti lascia divertito, pur nel suo non essere – ancora – niente di che). La prima parte comunque (fino a Ci vediamo ieri, p. 155), riguarda la vita di Sedaris in America, e ci illustra la sua scombinata e bizzarra famiglia in un modo che vorrebbe a tutti i costi farci ridere, e che invece, certe volte, irrita e infastidisce (si pensi ai continui riferimenti che vorrebbero essere autoironici sull’omosessualità dell’autore, netta fin da bambino secondo lo stesso, e rappresentata più che coi toni dell’autoironia, quasi con quelli della maniacalità, come se dovesse esser comico o realistico o altro, ad esempio il fatto che Sedaris bambino sbavi se vede un bel fisico maschile! Oppure, sempre su questa linea, il continuo “giocare a far la checca”, tirandosi addosso battute che nemmeno Rauti farebbe, ad esempio dicendosi di esser bravo a metter nomi ai peluche e a passar l’aspirapolvere!). La seconda riguarda le esperienze parigine dell’autore, il cui nuovo compagno è appunto francese, in occasione di un soggiorno in Francia. In pratica, le sue avventure durante l’apprendimento della lingua. Se è vero che non cade mai (quasi mai!) nell’ovvio, con battute scontate e doppisensi linguistici (pur se tutto è giocato ovviamente lì!), è anche vero che raramente si accende (Ricordando la mia infanzia nel continente africano, ad esempio, ma anche Me parlare bello un giorno, o Gesù si fa la barba).
Insomma, qualche paradosso divertente, qua e là, c’è (si pensi, ad esempio, all’elenco delle prime parole imparate in francese dall’autore: pena di morte, tumefazione facciale, esorcismo, mattatoio, mostro marino cacciatrice di dote, chi ha cacato sul tappeto), ma tutto sommato è anche legittimo arrivare in fondo e chiedersi: maccheccazzo, lui lo pubblicano e a me no?

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