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settembre 15, 2004

D. EGGERS, L’opera struggente di un formidabile genio (A Heartbreaking Work of Staggering Genius). E qualche altra cosa

(ANCORA BUGIOTTY CLETO, DI PROFESSIONE ATROFIA CEREBRALE SPINTA. E AVANZATEMPO ARATRO - IN SOSTANZA, IL BUON VECCHIO DOTTOR MERDA, CHE L'HA NUOVAMENTE RIPESTATA)

“Grande, grande scrittura. Un libro che non lascia scampo”, c’è scritto sulla copertina. Il punto è che è un’impressione lasciata da uno scrittore come lui, vale a dire David Foster Wallace. Il che presuppone che anche la sua sia una scrittura che non lascia scampo. O che forse non lo siano nessuna delle due. Semplice: entrambi, Eggers e Wallace, si presentano come due autori gggiovani, sempre ggiovani; scanzonati, tutt’altro che cattedratici e seriosi, e quant’altro vi può venire in mente su questa linea. Soprattutto, fantasiosi: le loro opere sono sempre qualcosa che sorprende chi legge. Ma il problema è proprio qui: a volte sorprendono, a volte vogliono sorprendere. E lo vogliono a tutti i costi. Ogni pagina, ogni capitolo, ogni frase deve essere una sorpresa, magari una battuta, un ragionamento particolarmente pungente. Sicché rimangono presi nel loro stesso gioco, e per un’altra via raggiungono lo stesso scopo di quei maestri di cui dichiarano di non voler seguire le tracce. Saturano: ci saturano di ridondanze, attingendo o da cose inutili e tutt’altro che interessanti, o da cose gratuitamente complicate (e il secondo caso è quello di Wallace – avete presente, ad esempio Verso Occidente l’impero dirige il suo corso?). Saturano come saturano, ma per altra via, i loro (misconosciuti) “maestri”: se i secondi lo fanno per troppa cultura, per troppo accademismo ed erudizione, questi saturano o per troppa contro-cultura, o per troppo esercizio fine a se stesso di simpatia a tutti i costi (o di bravura fine a se stessa). Ingurgitano spesso tutta l’americanità “leggera” (da qui il classico coinvolgimento del “chi non ci riconosce in tutto questo?” – che non è detto, si badi, che sia un difetto!) che c’è, e te la ripresentano con la loro simpatia, cercando di coinvolgerti, perché chi non ha vissuto esperienza come quelle; chi non ci si riconosce; chi non è disposto a ridere dei loro ammiccamenti estrosi e originali, delle loro avventure stralunate e strampalate?
L’originalità e la grande inventiva caratterizzano questo tipo di scrittori, è indubbio. Però è un gioco che funziona su piccola scala, sul breve: non è un caso che Wallace, ad esempio, renda al meglio (almeno secondo me) in quell’operetta che si intitola Una cosa divertente che non farò mai più, e in alcuni (sì, alcuni… certi sono veramente insopportabili!) dei racconti de La ragazza dai capelli strani (ad esempio in quello che dà il titolo alla raccolta, appunto – per quanto forse questa non sia altro che un tentativo di mostrare, e di di-mostrare, a tutti la sua capacità di maneggiare stili diversi).
E questo è quel che avviene anche all’opera struggente di un formidabile genio di Eggers. È una questione di misura: le 360 e passa pagine dell’opera sono troppe. Tutto è troppo. È eccessivo e sovrabbondante. E soprattutto discontinuo: eccezionale e irresistibile in alcuni punti, in altri Eggers si fa prendere la mano. Ed è una fatica seguirlo. L’autore stesso dice che dopo i primi quattro capitoli (in una prefazione, anche lì, che avrebbe necessitato certo di una grossa sforbiciata), il suo libro perde, e perde parecchio. Anche se nel complesso è quantomeno originale (disegnini, scheimi, linguaggio pieno d’inventiva), è una insopportabile e gratuita aggiunta (poteva essere sbrigata in poche pagine), ad esempio, l’avventura a The real world, il reality show di m-tv (e in genere tutto o quasi, dal cap. VI, secondo me, precipita – e una volta stuccato il lettore, lo si recupera male…).
A far di continuo piroette, salti mortali, frizzi & lazzi, alla meraviglia si sovrappone la noia. Come dicevo, questo vale per le lunghe distanze: e anche Eggers dà il meglio nel breve, in quanto l’originalità ha bisogno di una miccia corta; scoppiare e poi via, scomparire. Le sue Quattro lettere di Steve, un cane, ad alcuni capitani d’industria (pubblicato nell’antologia Burned children of America, di minimum fax), in questo senso, sono fulminanti, come lo sono certi passi di quest’opera struggente (per dirne una, l’entrata nel nuovo appartamento, la cui bellezza si misura dal grado di resistenza del pavimento alla “scivolata su calza”). Dopo aver letto l’opera struggente di un formidabile genio, ed essersi sorbiti le mille e mille divagazioni pseudo-simpatiche, le mille e mille avventure che dovrebbero essere una continua risata, difficilmente ci si ricasca. Fatto sta, insomma, che io Conoscerete la Nostra Velocità l’ho comprato, ma l’ho sempre lì, su uno scaffale. Non so se lo aprirò mai. E lo stesso vale per Infinte Jest. Ecco, quello forse non so se lo comprerò mai…

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