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dicembre 22, 2003

IN THE CUT, Jane Campion

È un film che pretende. Pretende di essere artistico, morboso, ossessionante, sensuale, pieno di suspence, eccetera. Ma riesce solo a vincere un abbonamento perenne alla fiera dei “Vorrei ma non posso”: girato male, malissimo, pretenzioso; con una fotografia decisamente fastidiosa, e una sceneggiatura imbarazzante per buchi, debolezze di logica e volgarità del tutto gratuite, lascia alla fine con questo interrogativo: ma perché Jane Campion non va a fare in culo? Perché cazzo ogni volta che una donna fa qualcosa nel campo della cosiddetta “arte”, lo deve fare erigendo se stessa a paradigma di una categoria, riassumendo in sé e parlando dei “problemi delle donne”? Perché c’è sempre implicita l’idea di esaltare, far fronte comune, contrapporsi all’ottuso mondo maschilista e maschio che non dà mai le stesse opportunità a LORO? Eh? Perché sempre questo complesso d’inferiorità che le spinge a non fare altro che parlare parlare e parlare di loro stesse, sempre magari con la stessa storiella scema, tumida di sensibilità distorta & isterica ma coraggiosa, di cui Ennio Flaiano (si torna sempre lì…) aveva tanto bene detto?
Se si dà il caso che un (prendiamo il cinema, già che si parla di questo) regista, uno sceneggiatore può assumere il cosiddetto “punto di vista femminile”, creando una storia, un personaggio, una situazione (ok, può farlo bene o male, ma questo è tutt’altro discorso); MAI – dico, mai! – si dà il caso contrario: una regista, una scrittrice, un’artista in genere purché donna, quando farà qualcosa adotterà sempre e soltanto il “punto di vista femminile”. E fin lì, badate, non ci sarebbe nemmeno nulla di male; sennonché il problema nasce per come quest’ultimo viene adottato, appunto, pesantemente gravato da tutte quelle cose di cui dicevo poco sopra: e allora saranno dolci e fragili eroine in cui la parte peggiore di ogni donna può riconoscersi, perché insomma chi non è mai stata sedotta abbandonata molestata non capita menata non ascoltata non circondata dalle necessarie attenzioni scossa oltraggiata presa in giro tiranneggiata da un uomo stupido e volgare che pensa solo ed esclusivamente a trovare “un paio di buchi e due tette in cui metterlo, anzi no di due tette si può fare anche a meno, così come – ovvio – di un cuore che batte” (è uno dei meravigliosi dialoghi del film, si noti).
Nel caso in questione, ecco gli ingredienti: un romanzo (e tutto considerato non ci tengo proprio, a leggerlo) molto probabilmente già assai mediocre di per sé, saccheggiato a cazzo, con la storia che non può non risentirne sul piano logico-narrativo (personaggi del tutto gratuiti, si veda ad esempio il pazzo-attore-dottore-cinefilo interpretato da Kevin Bacon, che in tutta sincerità non si capisce cosa accidenti ci stia a fare; oppure il negrone allievo (?) della protagonista il quale alla fine appare malmenato non si sa bene per quale motivo, né quando, dal poliziotto, e che tanto per tornare sempre lì vuole farsi la sua professoressa, con violenza – ma l’elenco di stonature potrebbe continuare), e su quello dei dialoghi (davvero, qui si affonda decisamente nel ridicolo: non tanto e non solo per tutta quella volgarità in grazia della quale magari si vorrebbe apparire duri e spietati, o far tanto metropoli violenta e torbida, riuscendo però di fatto solo a infastidire, a NON esser credibili, nemmeno per due secondi o per sbaglio; ma anche per la vera e propria logica dei discorso, per il buon vecchio senso compiuto: non di rado a un personaggio che dice A risponde uno che dice Y, e via così); una regia che definire involontariamente comica è poco (non sono sempre le inquadrature non convenzionali, sghembe, in movimento, sfocate, ancora in movimento, poi di nuovo storte, strane, e via così, a fare di qualcosa “un’opera d’arte”: si rischia sempre di cadere nel troppo “voluto” o nel fine a se stesso, nel pretenzioso e nell’ingombrante, come a voler scuotere lo spettatore e dirgli: “vedete come sono brava? Mica racconto le cose come tutti, io! Ammiratemi!” – in realtà dà solo noia: se volevo andare sul tagadà, andavo al luna park); una fotografia che segue perfettamente la regia (anche qui: Gesù, non basta scurire tutto per fare un noir, o comunque per creare un’atmosfera cupa. Nel caso specifico, alzi la mano chi non avrebbe pagato per aver a portata di mano un telecomando, così da pigiare su quel cazzo di tasto della luminosità per riuscire a vedere qualcosa! – si vada casomai a confrontare la cosa con Seven, che lo stesso scopo inseguiva, ma per il verso giusto e con esiti del tutto diversi, pur essendo anche questo per molti altri aspetti un film da adolescenti esaltati); e una serie di simboliche bandiere americane (che cazzo c’entrano? Cosa vorrebbe simboleggiare l’insistita inquadratura su di esse?). Su tutto ovviamente, il mondo al femminile: Meg Ryan fa la professoressa (ma di che? Di glottologia, visto che sta preparando un non ben precisato libro sullo slang negro? Di letteratura? E la qual cosa, si sente, dovrebbe avere un nesso, così come le citazioni che ‘sta scema trova sulla metropolitana tutti i giorni, ma comicamente poi non ce l’ha… non riescono a farcelo entrare, o forse nel romanzo c’era, ma il film mica poteva durare tre ore, abbiate pazienza eccheccazzo!), e OVVIAMENTE per compito a casa dà Virginia Woolf da studiare (la prossima volta, Jane Austen?), è orgogliosamente e coraggiosamente single e gli uomini, lei, li immagina, masturbandosi magari nel sonno. Poi, cede sessualmente a uno (il poliziotto ridicolo e maldestramente perverso – di cui vediamo nientemeno che uno scorcio di cappella – e probabilmente complice del suo inutile e sciapito collega – a proposito, perché fa tutte quelle porcherie alle donne? Un motivo? Così, perché è cattivo & perverso? – sebbene lei sappia una sega e torni da lui, facendo così finire il film), e immancabili, arrivano le confidenze sentimentali all’amica del cuore, che nella parte peggiore di ogni donna, devono essere davvero taaanto importanti.
Si badi, infine: niente pompini, assolutamente! È lo strumento principale con cui gli uomini maschilisti e detentori di tutto il potere di ogni campo opprimono ed umiliano tutte le donne: “oh, un po’ di attenzioni anche per noi, insomma”, deve aver detto Jane Campion... e allora giù, ricche descrizioni anatomiche di clitoridi e lubrificazioni vaginali (la ridicola ancorché gratuita mezza scena di masturbazione al telefono troncata a metà), leccate di fica (potevo dire fellatio e cunnilinguus, certo, ma perché non uniformarsi al film?), descritte didascalicamente e elargite come manna dal cielo, perché ovviamente ogni uomo pensa sempre e solo al proprio piacere, soprattutto in campo sessuale! (Cristo, MegRyan, ti ha solo leccato la fica! Fino ad ora mai nessuno l’aveva fatto? Ed è una cosa così insolita??? E chi accidenti vuoi che glielo abbia insegnato???)
Orribile e pretenzioso, inutilmente volgare. Spero smetta di far cinema, questa qui. Unica cosa bella: la dolcissima versione di Que serà serà, con cui si apre il film.

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