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ottobre 23, 2003

PRIMA TI SPOSO POI TI ROVINO (Intolerable Cruelty), Joel & Ethan Coen

Ma cosa cazzo scrive la sig.ra Irene Bignardi (parente di Daria? Ah caste, caste…) sul Venerdì di Repubblica? Fa un articolo di 3 colonne – dico, 3 colonne – per raccontarci qualcosa sul nuovo film dei fratelli Coen, e si arriva alla fine e del nuovo film dei fratelli Coen non si sa un cazzo! Ci parla di George Clooney, e ci dice qualcosa come “il bel George Clooney, che tanto giuggiolone non è, nonostante sia così bono…” (brrr… femminilità distorta e zeppata bene nella scrittura – ma perché non se ne liberano mai o quasi, quando scrivono?); comincia a descrivere i fratelli Coen, e tutto ciò che sa dircene è che loro “sono attraenti in maniera diversa. [… ] Tutti e due belli alla loro maniera strana” (o mio dio, ancora! – O forse stavolta siamo sconfinati nella frenologia?); ci racconta la storia del copione del film (interessantissimo!) per poi finire a parlare del loro prossimo lavoro, che avrà come protagonista nientemeno che Tom Hanks. Alla fine restano solo poche righe, peraltro confuse ma inutili (ci mette dentro il “contorno di cagnetti, Simon & Garfunkel, istruzioni su come vivere senza intestini, macchinette antiasma”!), dedicate a quel che ci si aspetterebbe. Certo, non siamo ai livelli di Eyes Wide Shut, presentato dalle nostre stampa e TV come un “porno d’autore” (non si sa nemmeno bene perché, poi; e al limite tutto quello che può venir da pensare, stavolta come allora, è: ma almeno, il film, l’avete visto?), ma comunque, è divertente lo stesso.
Forse, sarebbe bastato dire che Intolerable Cruelty è la prova che la commedia NON deve essere per forza stupida; che gli equivoci su cui PUÒ (e non è detto che lo sia) essere giocata NON debbano essere per forza stupidi, che l’insieme delle cose, dialoghi attori colpi di scena compresi, NON abbiano da essere sempre scontati e STUPIDI.
E poi, e poi… che altro? Siamo secondo me un po’ al di sotto dello standard, e Il film è “puro Coen” solo a tratti. Spesso non ci riesce: ad esempio, in alcuni personaggi (l’investigatore di colore che “incastra alla grande” i malcapitati, per il quale si ha l’impressione proprio di qualcosa di non riuscito, di qualcosa che non raggiunge il paradossale pazzesco ); nel – per quanto sia ridicolo dirlo così – finale (un lieto fine, coi due che si amano beati, non è quanto ci sia da aspettarsi dai fratelli Coen: si veda la fine di Arizona Junior, al proposito – in questo caso, chessò… un salto temporale di un anno, e poi rivedere i due protagonisti in un’aula di tribunale, per un divorzio da comuni mortali, per effettive e vere e sentite incomprensioni di coppia sarebbe stato il beffardo che ci manca!); in certi momenti del dialogo (che a volte dà l’impressione di un certo stagnare, riuscendo solo a tratti ritrovare la brillantezza assurda del Grande Lebowsky o Fratello dove sei?).
“Puro Coen”, invece – e ci si ride, come in altre occasioni – per il pastore scozzese che sposa i due a Las Vegas (con tanto di Simon & Garfunkel alla cornamusa), per il prete suonatore di chitarra, per lo splendido Billy Bob Thornton che “ama A BESTIA” la sua bella, per l’associato dell’avvocato Miles-Clooney che frigna al solo sentir odore di matrimoni (ed è un avvocato divorzista).
C’è poco da dire, in fondo: abituati ad una curiosa alternanza serio/comico (ovviamente sempre in uno stile tutto particolare, che non si può, penso, non definire “stile Coen” – questo per notare anche come i due siano sempre perfetti in ogni genere che toccano, dal noir, al picaresco, all’affresco sociale: nell’ordine, Arizona Junior, Miller’s Crossing, Barton Fink, Mister Hula Hoop, Fargo, Il grande Lebowski – loro capolavoro, secondo me, perfetto punto d’incontro tra il serio e il comico, in 100% “Stile Coen” – Fratello Dove sei, e L’uomo che non c’era – il tutto senza dimenticare i racconti del solo Ethan Coen, raccolti, almeno per l’Italia, sotto il titolo de I cancelli dell’Eden, e il cui primo sembra soltanto chiedere una trasposizione cinematografica!), giusto seguito del cupo e splendido Uomo che non c’era è questa commediola divertente e tutto sommato tesa, la cui pecca maggiore (ancora una volta, secondo me!), è allentare un po’ troppo la morsa di cinismo & paradosso nel finale.
Il tutto, con tanti saluti alla sig.ra Bignardi.
Per la cronaca, sempre sullo stesso numero del Venerdì, c’è pure un delirante pezzo di Enrico Ghezzi sul nuovo film di Quentin Tarantino, un articolo pienissimo di nomi, citazioni, riferimenti “alti”, termini difficili, ecc ecc, come ogni buon intellettuale deve fare, d’altra parte, anche per far sì che il solco tra lui e il resto del mondo indegno & stupido & vuoto sia sempre più profondo.
Ma chi gli dà IL DIRITTO di parlare così, a quello? Lui è il suo “spostamento bunueliano estremo”?
Ma cosa sta dicendo? Ma come cazzo parla? (Schiaffo) Le parole sono importanti! (ci si ricorderà, spero...)

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