E ora… una approfondita e serena disamina del (sul) cinema italiano. Che è bello bello bello. Sia chiaro fin d’ora che questo non è un contraddittorio o un dibattito; in altre parole, insomma, a me non me ne frega un cazzo delle Vs. opinioni, modi di vedere le cose, ecc. ecc. Se volete esprimere i Vs. interessantissimi e dottissimi pareri sull’argomento, prego infestate altri posti. D’altra parte, sono affari miei?
Dunque, torniamo a noi: il cinema italiano fa cacare. Ma assolutamente, dalla A alla Z. Via, siamo buoni, dalla A alla U. Certo, non da sempre, ci mancherebbe altro, però da molti anni a questa parte è indubbio. Ecco di seguito i temi solitamente trattati dal nostro meraviglioso cinema:1) Film basato sui ricordi di giovinezza. Protagonista bambino, o giù di lì. Rigorosamente ambientato nel “profondo passionale e genuino” (discreto stereotipo, tipo Romani = scioperati / Milanesi = lavoratori) sud.
2) Variazione del punto precedente. Al posto del bambino c’è un adolescente, e se non si rimane nel profondo sud, ma deve assolutamente essere la provincia a farla da padrone. 3) Film di denuncia, solitamente una ventina di anni dopo l’evento. Interessante, tra l’altro, caso di cinema militante a posteriori. (da Il muro di gomma a Vajont, arrivando fino a Ilaria Alpi e Buongiorno notte)
4) Squallida storia di vita e amore metropolitano, sempre immergendosi nel fantastico e variopinto mondo delle borgate. E il drammone è sempre dietro l’angolo (evito perfino di far nomi, qui)
Inoltre, e soprattutto, ci dev’essere una qualche misteriosa e sottaciuta legge per cui quasi ogni film italiano deve partire, far riferimento, citare, parlare in qualche modo insomma, del fascismo, specie nel periodo immediatamente precedente la seconda guerra mondiale, con il definitivo avvicinamento di Mussolini alla politica di Hitler (insistendo soprattutto sulla deportazione degli ebrei, e indirettamente sulle leggi razziali). Che sia un semplice flashback, la base dell’intero film, il ricordo di un parente che non compare del protagonista, la cosa è d’obbligo. Insomma, in Italia non c’è stato altro.
Tutto questo, o singolo, o variamente intrecciato, sullo sfondo di un generico pazzesco provincialismo, un fiato corto che mette una tristezza infinita. Anche da un punto di vista strettamente tecnico (ma su questo non posso dir molto, quindi mi limiterò ad accennare e basta), tutto è sempre viziato da un non so che di dilettantesco pauroso. Comunque, e in sintesi, una incommensurabile ristrettezza di orizzonti.
(La stessa cosa succede nella letteratura. Tiro fuori solo un po’ di nomi: Enrico Brizzi, Andrea de Carlo, Margaret Mazzantini, Dacia Maraini, Sandro Veronesi. Ok, non ho citato i migliori? Bene, ci sto. Del resto, nemmeno nella controparte adesso cito i migliori: Dave Eggers, George Saunders, Amanda Homes, David Foster Wallace. Volendo, tiriamo fuori i migliori, da entrambe le parti: Philip Roth e Claudio Magris, Don de Lillo e Antonio Tabucchi, Citati e Updike, ecc ecc. Si noterà una cosa: il secondo gruppo è totalmente fatto da persone che vengono da lontano, il primo da giovani, o comunque esordienti. La differenza allora è che i tempi contemporanei, in Italia, producono quasi esclusivamente spazzatura, patetica banale e ripetitiva?).Altra caratteristica simpatica, è che su un film italiano tutti ci devono mangiare; quindi ecco che la musica è firmata da un cantante, solitamente con una sua nuova hit da classifica (!) che almeno gli farà vendere un po’, di lì a poco. Così succede per il tanto acclamato La finestra di fronte (Giorgia – ah, a proposito: la scena serioso-drammatico-straziante del vecchio che consiglia a Giovanna Mezzogiorno di “seguire i propri sogni”, convincendola così a mollare il suo posto di capo reparto di una polleria a beneficio della sua grande passione di cucinare dolci, con tanto di pianto del marito quando ELLA glielo confessa, a notte fonda manco fosse un triplice adulterio orgiastico è di un grottesco e di un ridicolo da brividi. Complimenti! Ma davvero… non se ne accorge nessuno?); con l’eccezionale sequela di inverosimili banalità de L’ultimo bacio (Carmen Consoli – una delle poche figure, comunque, nel panorama, ad avere un certo temperamento artistico); con lo stucchevole ritratto di famigliola persa totalmente nel meraviglioso mondo dell’arte (complimenti anche lì!) di Ricordati di me (Elisa). E si potrebbe continuare. Quando invece la colonna sonora è affidata a un musicista vero, tocca a Nicola Piovani. Sempre. Ecco, se già siamo su un altro mondo (ce ne fosse!), nel caso c’è da notare che raramente non si riconosce la sua mano, nei suoi lavori . In senso mediamente negativo: sono tutte (più o meno) uguali!
Ogni regista inoltre (da buon “grande artista”) ha i suoi tic e le sue fissazioni: Ozpetek, quello degli omosessuali, tematica relativa ai quali infila da diritto e rovescio in tutti i suoi film; Bertolucci, quello del sesso torrido & selvaggio; Pieraccioni (già, c’è anche lui a fare i film… ma a voi fa veramente ridere), quella di raccontare storielle in cui lui è al centro dell’universo: tutte si innamorano di lui, che è sempre quello simpatico, scanzonato, ma non brutto, con la battuta pronta, sempre “il migliore”, il ragazzino più in vista, nel suo gruppo di amici della provincia di turno.
Che dire poi, quando il cinema italiano si tuffa nell’impegno sociale? Che dire dei melodrammoni strappalacrime e nauseanti che ne vengono fuori? Qui ci si è invischiato pesantemente anche Nanni Moretti, il cui ultimo tanto strombazzato film, La stanza del figlio, è una “cagata pazzesca” di fantozziana memoria. Checché ne possano dire i più, è qualcosa di osceno, una fiction tv e poco più: dopo 10 minuti di film, personalmente ero lì ad augurare qualcosa di brutto a quella famigliola stucchevole, che più che in un film (di Moretti poi! Ce n’era di che essere increduli!) sarebbe stata bene in uno spot del Mulino Bianco: ESSI fanno colazione tutti insieme, seduti ad un tavolo; ESSI conversano amabilmente di questo e quest’altro argomento; ESSI vivono in perfetta ed equilibratissima armonia, col padre che sporziona per tutti la cena e i figli che sono dei veri e propri tesori – insomma una bella famigliola di plastica, senza contare l’inadeguatezza assoluta della recitazione di Moretti (che comunque anche da padre di buona famiglia intellettual-borghese ripropone – è in grado di far diversamente? Doveva proprio far diversamente? – il Michele Apicella delle altre volte) per un ruolo come quello (certo, ci sono anche cose decenti, ma il fatto resta quasi marginale!).
E poi, tanto per chiudere in bellezza, il Cinema Italiano è fatto di polemiche: quelle che scatena un qualsiasi regista con la sua ultima opera scandalo, e ancor di più quelle che arrivano puntuali quando una qualche giuria non lo caga. Allora, ecco che si assiste alla levata di scudi dell’associazione tutta: “il Cinema Italiano” (preso tutto insieme, cosa curiosa questa – direbbe cose interessanti Flaiano, sulla mediocrità “confortata da altre mediocrità, a far numero, lega, sindacato”), non deve essere sempre così bistrattato, è un vero complotto, e la Rai giura che non produrra più film, ecc ecc. Al proposito, si noti come si adora farle alla mostra del Cinema di Venezia, queste polemiche, perché lì – si sa – si gioca in casa, e quindi bisognerebbe che ci fosse più rispetto, eccheccazzo.
Dimentico qualcosa? beh, non ho detto nulla della cittadella chiusa ed elitaria, nepotistica perfino, che si va a formare, nel “mondo” Cinema Italiano; niente dei veri e propri piccoli regni di questo o quel ras (già, un termine fascista… e non a caso!). Fino a qualche mese fa eravamo sotto il giogo di Stefano Accorsi. Pensate un po’ voi… quello che faceva la pubblicità al Maxibon.
Ma andate in culo, andate…
Nessun commento:
Posta un commento