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novembre 05, 2007

NICK CAVE, E l'Asina vide l'Angelo (And the Ass saw the Angel)

(GENTILMENTE (IN REALTÀ CON FRODE & INGANNO ACUTISSIMI, ET A FRONTE DI PROMESSE DI MULIEBRI DELIZIE CHE TAMPOCO MAI RISCUOTERÒ, ESSEND'IO NULLA PIÙ CH'UN'ENTITÀ FITTIZIA E DEL TUTTO BURLESCA ET IMAGINARIA, CASOMAI ISTITUITA A SCOPO DI DILETTAR IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO E A VOLTE ANCHE PEGGIO), DICEVO: GENTILMENTE RICHIESTOMI, INDOSSO UNA VOLTA DI PIÙ I PANNI DI DOTTOR MERDA, E LORDANDOMI ANZICHENÒ DELL'OMONIMA MATERIA VADO TOSTO A RECENSIRE IL SUMMENTOVATO PRODOTTO D'INTELLETTO)

Linguaggio e immagini potenti ed apodittici, a metà fra un’idea di vecchio testamento e un visionario rocker d’antan, quale appunto Nick Cave si troverebbe anche ad essere. Però, ciò che funziona in una murder ballad, o comunque sia nei lyrics di una pur ottima produzione di canzoni, non è detto funzioni sottoforma di libro, vale a dire in un terreno che imporrebbe quantomeno un filo più preciso e meno sedotto da lirismo deviato e visioni deliranti, crudeltà efferate e follia a go-go. Per tacere, poi, di un io narrante gratuitamente ondivago e bizzarro, che non si giustifica altrimenti se non coll'autocompiacimento verso forme di incomprensibilità e oscurità scambiate - spesso, nel rock - per poesia. Il prezzo da pagare, in caso non si tenga conto del differente mezzo con cui ci si sta misurando, è giungere ad un prodotto assai fine a se stesso, compiaciuto nelle crudeltà e nella vicenda - vicenda letteralmente seppellita sotto il peso di un immaginario che vorrebbe essere mitico ma spesso riesce soltanto un po’ pesante. Un eccesso di gotico, o se vogliamo un eccesso di assolutezza crudele pseudo-mitologica: non c’è un tempo definito (sono gli anni ’40-’50, ma la cosa si rivela nulla più che un dettaglio), gli abitanti della valle sono completamente fuori dal mondo esterno, né leggono giornali né sanno nulla della vita intorno. L’ignoranza e la superstizione regnano sovrane, e su tutto s’impongono le riflessioni deliranti e ricchissime quantomeno in lessico di Euchrid il muto, alternandosi col racconto (suo o - come dicevamo poco sopra - di chissà chi altro) di episodi efferatissimi compiuti dagli abitanti, in un’ignoranza che il medioevo al confronto era nulla. Un gotico-barocco-horror-rock, insomma, in cui tutto può essere giustificato (a niente vale chiedersi, di quando in quando: "perché?"), dal realismo crudo al rivolgersi verso il lettore, più o meno alla fine del libro, in un'invocazione che - semplicemente - a quel punto proprio non ci sta.
E la cosa finisce per rivelarsi un po’ troppo pretenziosa: nel voler alzare quel tipo umano simbolico a paradigma del tipo umano di sempre (l’umanità è malvagia, disprezzabile, pronta a credere e infiammarsi, sempre con isteria e delirio); nel voler ingigantire il tutto nell’aura del mito, si viene ben presto a perdere la reale dimensione del testo, il quale paradossalmente resta “un sogno d’atmosfera – un ghirigoro senza storia né trama definita”, per usare le parole dell’autore stesso (p. 277), quali miglior suggello a un’operazione che dopo un po’, stanca. Ragion per cui vi dico (oltre a mandarvi in culo, come di prammatica):
Leggete qualcos'altro.
Nick Cave (nemmeno tutto, a dire il vero - le mitizzazioni a prescindere son degli idioti, o dei sedicenni) ascoltatelo, ne vale più la pena. Idem varrebbe per Capossela, ma questo - ciò il tamarindo sul fuoco, s'abbia pazïenzona - è altro discorso, altra storia, altro ballino di cazzate da scrivere per far finta di ingannare il bianco falsamente placido che - informe ma crudele - c'assedia. O anche no; cazzi mia; vi chiedo nulla, io?

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