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gennaio 15, 2007

IL GRANDE CAPO (Direktøren for det hele), Lars VonTrier

Allora, dunque: per vedere Il grande capo dovete immergervi nella pena e superar difficoltà. Perché è brutto? No, è bellissimo. Perché è un po’ “faticoso” a vedersi? No, scorre come bere un bicchier d’acqua. Semplicemente, perché è uscito in 39 copie in Italia. E l’hanno pure vietato (!) ai minori di 14 anni. Motivo: “la scena esplicita e chiaramente rappresentativa di un rapporto sessuale poco coerente con l’intero contesto narrativo e di carattere molto spinto e gratuitamente volgare” (ahahaha! – ma chi le scrive queste cose, la maga Ciappy?). 
Certo, poi il nuovo & untuosyssimo polpettone insipido di Gabriele Muccino (a questo punto, non c’è più niente da fare; possiamo solo sperare che muoja) sarà stato distribuito in 39.000, di copie; il trittico da ritardati Commedia Sexy-Natale a New York-Olé, si fa prima (e meglio) a non contarle; il film tutto-scoppy del nuovo James Bond o la serie di film-da-cassetta-natalizi (da Mi sono perso il Natale a Eragon, che qui in italia per esser fvrbi abbiamo affidato alla rydicolissima doppiatura milanese di quella trota-annunciagoal-messa-lì che è Ilaria d’Amico), idem. Teniamo presente poi che la nuova mostruosità gratuita & pretenziosa di Mel Gibson non ha certo subito divieti o similarî, giacché quella è arte somma (ok, parrebbe che sia stato vietato anche quello, ma solo a seguito di una lunga controversia, ricorsi & varie). Né il trittico da ritardati di cui sopra avrà scene di sesso, volgarità, linguaggio – tristemente, piattamente – osceno, come da consuetudine.
Sicché, Il grande capo, si diceva. Il grande capo lo trovi a qualche cinema d’essai di città più grandi, coi muri che cadono a pezzi e le sedie da tavolino del bar, magari pure pieghevoli. Nulla più che un maxi-schermo, e un palco col microfono abbandonato per terra, come se dopo ci dovesse essere il dibattito (magari c'era, son solo venuto via troppo presto). Fuori il biglietto te l’ha venduto uno che potrebbe benissimo essere anche il Casalieri, o comunque quello di “pòle la donna, oggi, perméttisi di pareggia’ coll’OMO?”. E che alla biglietteria vende pure i semi di zucca e le Brooklin’s al gusto liquerizia. Nel caso, non fatevi venire i lucciconi quando vedete dietro di lui le pubblicità della Prinz-Bräu e un par d'adesivi con scritto MildeSorte. Sta male.
Vuoi vedere un bel film al multisala, colle poltrone di ciniglia finissima e gli snecchini croccanti al gusto formaggio di capra anziana? Ma c’è WillSmith che fa il ragazzo padre che taaanti sacrifizî e poi ce la fa e diventa qualcuno (broker finanziario? Non era meglio consegnar la pizza a casa? Cacarsi in mano e prendersi a schiaffi?); c’è la torma di ragazzini che restano chiusi nel terminal dell’aeroporto e neanche uno viene risucchiato da una turbina dell’aereo; c’è la pletora di cartoni animati (regolarmente doppiati da qualche idiotissima starlettina della merdosissima TV, così poi il popolino dice sentilììììììì gaaanzo, è la voce di Elisabetta Gregoraci, ah ah ah; questo invece è Solange ah ah ah; nooo, questo è Minchio II del Grande Fratello!) scadenti e banalissimi però ormai ce n’è dieci ogni natale perché il meccanismo è iniziato e quindi non stiamo tanto a guardare alla qualità, te piglia un animalino fallo parlare e mettilo in mezzo a una qualche vicenda che faccia un po’ ridere e poi finisca bene, vedrai fai soldy.
Già, ma si diceva del grande capo. Il grande capo è un film grottesco e pieno di delirio, che uno si mette lì e ride assurdamente, perché l’autunno in campagna può esser molto soffocante, Gambini aveva teorie molto rigorose sulla drammaturgia e l’idea è Dio e se tu me lo dici io dico sempre di sì, e chi ci tira sempre su? Ravn, Ravn, Ravn!
Menzione speciale infine per la POVERA METTE! POVERA METTE! POVERA METTE!, e plauso assoluto&riverente alla sconclusionata genialità dell’idea, che come di consueto ci viene presentata nel modo povero, scarno e frammentato (ad esempio il montaggio, ma anche le scene stesse son quanto di più volutamente desolante ci possa essere) che chiunque abbia già visto un film di VonTrier conosce. E il tutto “dice” molto di più così, nella sua immobilità straniante, con i suoi colori piatti (il bianco e lo sbiadito, che già che ci penso non credo nemmeno sian colori) e i paesaggi smorti e solitarî battuti dal vento, che con un bell’affresco ricco, sfaccettato e psicologicamente curato tipo di Salvatores o Ozpetek. Toh, viva la myseria!
A Kristoffer (l’attore) – fantastico, anche se a volte parrebbe fare un po’ il verso a Woody Allen – la chiusa (idem: fantastica!) del film, con il monologo dello spazzacamino nella città senza camini, e la voce fuori campo del regista, didascalica & dimessa quanto basta, che ci (vi) prende per il culo, affermando in chiusura che “chi è venuto a vederci e si aspettava qualcosa del genere, ha avuto quel che si meritava”, alla faccia della critica che ormai associa(va?) VonTrier a un tipo di film cerebrale, intellettualoide et presuntuoso. Il che sarà stato anche vero – come dire: chi è causa del suo mal pianga se stesso, siamo anche onesti – ma certo non perenne od eterno. Plauso a chi ha deciso la dystribuzione sì frvsta; meglio far vedere a tutti Olé o anche Alla ricerca della felicità (e 'l budello di so' ma' - scusino, ma la rima m'obbliga, come direbbe l'ottimo Avviatura), con magari un bello zuppierone di croccantissimi popcorn al myrto lacvstre (o di brago).

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