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settembre 10, 2004

J.T. LEROY, Sarah

Né grottesco né drammatico, né perverso né sconvolgente: che cos’è che non può fare una buona strategia pubblicitaria? Ridicoli e inverosimili i dialoghi, fastidiose le continue imprecazioni dei personaggi, che invece vorrebbero essere buffe e fantasiose (sul serio, l’autore le lasci a Tom Waits: è meglio). Se solo ci si immagina un attimo l’iter che potrebbe avere un testo così, senza raccomandazioni o nomi forti alle spalle beninteso, in una redazione editoriale! Non credibile, forzato, ingenuo, ma con qualche punta originale (forzate se non fuori luogo pure le note in quarta di copertina): e nessuno lo pubblicherebbe, mai. Tutto questo è Sarah, di J.T. Leroy, che vorrebbe scandalizzare, che vorrebbe vantarsi e mettersi in mostra, che vorrebbe dirci che questa più o meno è stata la sua vita, e ora lui passa alla cassa, perché a un certo punto tutto fa brodo e con tutto si fa soldi, tantopiù che sul torbido, sul sessualeggiante, sul perverso si fa leva facilmente. E le domande fioccano: ma avrà davvero vissuto così, poverino? Ma sarà stata davvero questa la sua vita? Che scandalo! E poi via ad attribuirgli la qualifica di genio, di poeta, di tenero poeta geniale.
Chi se ne frega se ha vissuto così, o no. Si deve giudicare il libro, e il libro fa decisamente cacare. Per di più, non c’è nemmeno più di tanto, di realistico. Non è né carne né pesce, alla fine. E a non esser né questo né quest’altro (né, appunto, grottesco, né sconcio, né provocatorio, né poetico, ecc.), pare non guadagnarci nessuno: è un piccolo polpettone insipido, che manca ogni obiettivo che vorrebbe centrare. Alla fine, viene solo da pensare che l’autore debba avere dei buonissimi sponsor (Suzanne Vega, più volte ringraziata e presente, potrebbe andare?).
Complimenti alla Fazi, che fra Leroy e Melissa P. di sicuro ha trovato una linea che vende, nonostante te la facciano pagare cifroni assurdi. E rallegramenti all’autore, che ha firmato pure la sceneggiatura di quel pretenzioso e culturaleggiante filmetto che era Elephant, e che a quanto ne so, ha pure un bel rapporto con Asia Argento. Magari la chiava, o che so io. Ma, detto per inciso, assioma n. 1: qualcosa a cui si interessa in un qualsivoglia modo la simpatica Asia Argento (dico: Asia Argento. Capite? Asia Argento) NON è per principio qualcosa di cui si possa dire che VALGA LA PENA.
Quanto al rapporto letteratura-vita, o finzione-realtà che si preferisca, ecco due righe di uno scrittore vero: “Di sicuro tutti conoscono le due domande più frequenti che vengono poste a uno scrittore. Di cosa parla il libro? È autobiografico? Queste domande e le relative risposte non mi sono mai parse irresistibilmente interessanti: se si tratta di un buon romanzo, sia le domande che le risposte sono irrilevanti. […] Quando Il mondo secondo Garp venne pubblicato, molti genitori che avevano perso un figlio mi scrissero. “anch’io ne ho perduto uno”, mi dicevano. Confessai loro che non avevo mai perduto un figlio, che ero solo un padre dotato di una vivida fantasia. Nella mia immaginazione, io perdo un figlio tutti i giorni 

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